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Napoli, a tu per tu con i giovani

Napoli – Dibattiti con direttori e redattori dell’ Espresso, Corriere del Mezzogiorno e soprattutto con i videoreporter più importanti della Rai. Il Festival del Giornalismo Giovane si pone, fra le altre cose, come “un ponte” fra coloro che fanno questo lavoro da anni e quelli che ci si affacciano ora, tra i “contrattualizzati” e i precari per confrontare visioni ed esperienze. Capire, in definitiva, se questa professione, oltre a un glorioso passato, potrà avere anche un degno futuro. Tra coloro che sono intervenuti ieri c’è Pino Scaccia, storico inviato del Tg1 e docente di Comunicazione presso l’Università Lumsa di Roma. Gli abbiamo posto alcune domande.

Prof. Scaccia se la sente di fare un confronto tra i giornalisti precari di ieri e di oggi?

A mio avviso i giornalisti di una volta “consumavano realmente le suole delle scarpe”. Raccontando la mia esperienza , posso dire che è quello che ci hanno insegnato. Lavorare sul campo sempre e comunque, spesso sacrificando il proprio tempo libero e la vita privata. Ho scelto una strada non facile, quella dell’inviato di guerra. E’ da più 20 anni che le mie esperienze crescono di giorno in giorno. Si rischia tuttora, si affronta il pericolo, ci si adatta. Quando sono stato in Iraq noi giornalisti non siamo stati certo ospitati in alberghi di lusso. Ma fa parte del nostro lavoro. Non c’è il tempo di mangiare con calma o di evitare di guardare scene anche molto cruente. Guerriglie e bombe carta sono sempre in agguato. Il cibo viene preparato con acqua non sempre potabile e spesso non può essere commestibile. Bisogna essere premuniti.

Insomma, quello del giornalista resta un ruolo particolarmente delicato.

Quando il terremoto dell’Aquila ha sconvolto improvvisamente l’Italia io sono corso con una valigia appena sufficiente per tre giorni e invece mi sono ritrovato lì per più di un mese, spesso dormendo anche su una sedia di una tendopoli, per informare attraverso il nostro ufficio stampa quello che stava accadendo, in tempo reale. Ho dovuto sacrificare il mio tempo non potendo neanche abbracciare mio figlio ai suoi 18 anni. Ma non disdegno tutto questo, anzi la mia è stata e sarà sempre una scelta consapevole. Una scelta che può dare tanto a chi ha bisogno di vera informazione. L’informazione non è data così tanto per essere data, ma può ad esempio servire a ritrovare delle persone di cui vengono perse le tracce in svariate calamità naturali. Oggi invece il mondo è un po’ diverso. Noi continuiamo questa “scuola” ma non vengono offerti gli strumenti per imparare sul campo. Insegno presso la Facoltà di Comunicazione ma mi rendo conto che tali indirizzi di studio talvolta possono anche disorientare e ridursi esclusivamente a “teoria”.

Le scuole di Giornalismo presenti in Italia possono coniugarsi con l’esperienza sul campo?

Oggi la crisi c’è e si sente. I giornalisti non vengono per niente retribuiti e non ottengono facilmente il praticantato da professionista. Non condanno queste scuole per i loro scopi, ma forse un pò per i costi e per il fatto che non danno l’emozione di vivere per il proprio lavoro, imparando sul campo. Le redazioni invece, dal canto loro non assumono più pubblicisti per timore di “vertenze”, non sapendo come retribuirli con contratti veramente regolari. Se si venisse più incontro ai giovani in tal senso le cose potrebbero coniugarsi.

Consigli e istruzioni per l’uso per non rischiare dei gravi “errori” in questo mestiere così tanto amato dai giovani?

Il montaggio di un video non deve peccare di “invadenza” o di superficialità, nel rispetto dei diritti umani. Non si può inquadrare qualunque cosa per fare notizia. Meglio una bara che un cadavere, meglio un panorama all’aperto che la casa di un privato che non gradisce un intervista. Una volta un mio collega disse sorridendo “Buongiorno da Baghdad, qui splende il sole”, il suo imput fu anacronistico e inopportuno per la grave situazione di guerra civile in atto. Spesso il tutto dipende anche dall’impostazione della voce e da quello che veramente ti sta a cuore di una notizia, da quello che è giusto trasmettere al pubblico. Così anche per il giornalismo scritto.Io sarò sempre un inviato di guerra che odia la guerra, ma auguro ai giovani (giornalisti) di avere la possibilità di scegliere e di credere davvero in quello che fanno. Alessandra Di Dio 22 settembre 2012 Campania sul web

Urbino

“La mia giornata con Pino Scaccia”

Ci sono giorni in cui ritorni a casa la sera e sei stanco morto. Hai appena affrontato una giornata stressante e sai che domani sarà simile, se non peggio. A volte pensi che il sogno di una vita sia troppo difficile da raggiungere, che vieni dal nulla e il cammino per raggiungere la meta sia troppo lungo e difficile.

Poi un giorno vai a scuola. C’è un seminario dal titolo intrigante: l’inviato speciale. Ma quello che più ti attira è l’ospite: Pino Scaccia. La lezione inizia con un video che racconta i suoi primi anni da inviato Rai. 1991: l’incontro con Oriana Fallaciall’inizio della prima Guerra del Golfo. Una dedica stupenda che solo una giornalista come lei poteva scrive: “Ti auguro di trovare tutto quello che io non ho trovato e di non trovare quello che io ho trovato”.

Ma per me la lezione inizia due ore prima, fuori dalla classe. Si chiacchiera davanti all’ingresso, si raccontano le esperienze. Ognuno le sue. Mi parla di quando è venuto in Sardegna per seguire il caso di Farouk, il suo rapporto con Mesina, i lunghi sguardi e i silenzi. Racconta il mio mondo non con la freddezza di un cronista che viene da fuori, da quello che lui chiama un altro mondo. Lo racconta con gli occhi di chi per giorni è rimasto in silenzio ad aspettare un gesto. Il segno che Farouk era libero dopo sette mesi di prigionia.

E così tra una battuta e l’altra, forse senza neanche pensarci, mi insegna il duro mestiere che mi sono scelta e mi ricorda che cosa mi ha spinto a farlo: lapassione. Quella strana sensazione che senti quando fuori il mondo va al contrario e tu cerchi di inseguirlo solo per il semplice gusto di raccontarlo a costo di rischiare la vita. È un fuoco che senti dentro, che non puoi spegnere neanche con tutta l’acqua del mare.

Se chiudo gli occhi posso ancora vedere quel pomeriggio di mezza estate in cui morì Paolo Borsellino. Avevo solo quattro anni, ma posso raccontare ogni singola scena di quel giorno. Così come nella mia mente sono impresse le immagini di quel Farouk, finalmente libero, con l’orecchio sinistro tagliato e il video di Angela Celentano che girava con i parenti nel bosco di Monte Faito poco prima di sparire nel nulla. Ero solo una bambina, ma ricordo che stavo davanti al televisore come ipnotizzata.

Quando cresci con il telegiornale sempre acceso, anche se sei figlia di un muratore e di una casalinga e sei nata in un paese sperduto della Sardegna, dove nessuno crede in te e nella tua voglia di farcela, sogni un giorno di diventare anche tu una giornalista. Senti il bisogno di parlare con le persone e di raccontare alla gente ciò che vedi e senti.

E non nascondo che essere chiamata “amica” da uno dei più grandi inviati italiani faccia proprio un bell’effetto.  Maria Sara Farci

Il giornalismo partecipato

Internet è una risorsa immensa di notizie e informazioni di qualsiasi natura e tipologia, tutto ciò che si desidera conoscere, in modo superficiale o approfondito che sia, è possibile trovarlo grazie ai contenuti disponibili e facilmente accessibili in rete. Grazie al web in genere e ai naviganti “impegnati” attraverso la costituzioni di blog che forniscono notizie a tutti i visitatori, è cambiato anche il modo di informare, in altre parole è cambiato il giornalismo oggi, un’apertura notevole all’interazione con il pubblico che spesso è parte attiva dell’informazione. Oggi le notizie corrono sui telefoni di ultima generazione che riescono a documentare e immediatamente pubblicare fatti accaduti in tempo reale, ciò “costringe” anche il mondo del giornalismo classico, che fa dell’informazione il proprio mestiere, ad adeguarsi alla velocità di circolazione delle notizie dei fatti. Non è più un fatto straordinario vedere blog gestiti da giornalisti professionisti che, collateralmente alla collaborazione con una o più testate, gestiscono un proprio blog personale con cui intrattengono rapporti con un proprio pubblico di lettori, scambiando opinioni sugli argomenti trattati.

Pino Scaccia, ad esempio, con la sua “Torre di Babele” comunica con il proprio pubblico di lettori e informa in tempo reale su ciò che accade nel mondo. segue su AgrPress